Ci crediamo tutti celebrità. Pubblichiamo foto dove fissiamo l'obbiettivo esibendo un sorriso tanto ebete quanto fasullo, mentre alziamo al cielo un bicchiere che contiene un liquido qualsiasi per brindare alla salute di nessuno in particolare, ma più probabilmente alla nostra.
Fumiamo sigarette di marca e, mentre fissiamo intensamente l'obbiettivo, ci prepariamo ad essere immortalati per sempre in una delle foto che comporranno il nostro personalissimo album fotografico online.
Sembriamo tutti divi di hollywood che partecipano ad un evento sociale esclusivo. È estremamente importante far vedere che ci divertiamo, dimostrare che senza di noi il party non avrebbe senso, far vedere che ce la stiamo spassando sul serio mentre in realtà non aspettiamo altro che tutto finisca, che tutto termini per lasciarci tornare finalmente a casa. Ma dobbiamo fare attenzione! Gli altri tutto questo, non lo devono mica capire, Giusto? Il nostro castello di carte crollerebbe in un attimo se solo si intuisse una nostra piccola debolezza.
Con quelle istantanee non facciamo altro che creare personaggi che speriamo gli "amici" possano ammirare e successivamente arrivare ad invidiare. Quello che non capiamo, e che forse non capiremo mai, è che la nostra vita interessa solo a noi stessi. Per gli altri non contiamo niente, ed è giusto così.
Facebook ha tanto successo proprio perché permette di mostrare al mondo intero, la propria parte migliore, permette di far vedere a tutti come siamo bravi, intelligenti e coscienziosi, e sopratutto, crea l'illusione di rendere gli altri consapevoli della nostra esistenza mentre confrontiamo le nostre vite con le loro, spiandole senza sosta e sperando non siano migliori delle nostre.
Scrollando la timeline di Facebook si susseguono foto e video di conoscenti sempre in festa, di persone che raccontano in tempo reale il loro viaggio in una meta qualsiasi (fosse anche solo verso l'ospedale di Cona), post di fidanzati che si scambiano effusioni talmente zuccherose da poter essere usate come dolcificante nel caffè, resoconti di cene in ristoranti stellati e McDonald; tutte scene felici che raccontano solo una piccola parte della giornata, tutte scene che mostrano sempre il meglio di ogni situazione, escludendo ciò che non è cool.
Provate a osservare bene quelle foto, guardate con più attenzione quei video.
Quanto sono forzate quelle espressioni di felicità folle?
Quanto sono finte quelle risate registrate in una diretta live?
Quanto c'è di recitato in tutto ciò che viene mostrato?
Quanto è reale, e quanto è fatto solo per stupire?
Provate a selezionare a caso un vostro contatto e scrollate la sua home per un po'; notate qualcosa?
Non vi sembra che tutto sia troppo perfetto? Avete anche voi quella chiusura allo stomaco che vi fa capire come la vostra vita non valga niente in confronto a quella che stanno vivendo gli altri?
È naturale, il vostro contatto fa quello che facciamo tutti, ovvero, mostrare il meglio di sé.
Questo porta chi osserva ad un momento di sconforto e ad una temporanea e inconsapevole depressione. Mentre osserviamo la vita (online) di qualcuno, la paragoniamo inevitabilmente alla nostra e, tutti quei momenti felici in successione uno in fila all'altro, fanno apparire la nostra esistenza emozionante come quella di una monaca di clausura.
Spesso gli amici, mi raccontano le loro serate piene di rocambolesche avventure e mirabolanti colpi di scena, uscite incredibili dove capita di tutto, momenti tanto assurdi e divertenti da sembrare il racconto di una scena tratta dal film "Una notte da leoni".
Invogliato da questi racconti (e dal fatto che ormai esco di casa per fare "serata" circa tre volte l'anno) decido di seguirli per un'uscita in ricordo dei vecchi tempi; mi preparo per una serata all'insegna della follia, una serata dove se ne vedranno delle belle, una serata ad alto tasso di rischio ma poi, poi... indovinate un po'? Non succede assolutamente nulla. Ce ne stiamo lì al bar a bere birra, ridere e scherzare certo, ritrovare le vecchie conoscenze, riabbracciarsi, tutto molto bello, ma nulla di così eccezionale come mi raccontavano, nulla che verrà ricordato nel tempo, che entrerà nella storia del nostro gruppo. In uno dei miei primi tweet ho pubblicato una citazione di Munger che diceva così:
La trovo una frase illuminante. Il 90% delle volte le tue aspettative saranno deluse. Mi sembra una percentuale abbastanza realistica.
Sono dieci anni che ho un account Facebook e in tutto questo tempo il social network è cambiato molto; non voglio dire che sia peggiorato, ma adesso lo si utilizza con una malizia che nei primi tempi la gente non usava ancora.
Alle origini, le persone erano più ingenue, meno studiate a tavolino, con meno bisogno di stupire per ricevere like o commenti di approvazione. Non so se sia così solo per me ma ultimamente, noto una certa uniformità nei contenuti e nelle dinamiche dei post.
Mi spiego meglio.
Le foto sulla home appaiono ciclicamente sempre identiche tra loro e sono composte da selfie che augurano a tutti un originalissimo "Buongiorno!!", da immagini che ritraggono piatti pronti ad essere divorati ma che prima bisogna assolutamente esibire a tutti, fino ad arrivare alle istantanee dove si mostra il luogo in cui ci si trova, che sia una strada, una discoteca o un bar di paese.
Vengono pubblicati in continuazione video comici, video musicali che non guarda più nessuno, spezzoni di film che le persone amano, ma sopratutto, gli orribili video delle dirette dove le persone danno il loro meglio e mostrano al mondo intero quanto la loro vita sia favolosa e interessantissima. Ci sono anche dirette dove ci si lamenta di come gli altri siano inutili, creino problemi e rovinino la nostra esistenza.
Tutto ciò illude le persone di ricevere quel minimo di attenzione così da soddisfare quel bisogno costante di conferme da parte del prossimo di cui tutti abbiamo bisogno.
Seguono poi i post sagaci dove mostriamo al mondo la nostra spiccata ironia con battute ormai sempre uguali, scritte con gli stessi modi di dire e di comunicare;
Scrivono tutti nello stesso modo, con quel tono continuamente sarcastico e dispregiativo, che riduce le battute ad una massa di parole uniformate nella banalità di uno slogan di successo. Tipo:
-...E poi ci sono io che sono sfigato e vado in giro in porsche...
- Stavo riflettendo su.... come nell'arte moderna si dia più importanza alla visione d'insieme che al particolare...
- Finalmente siamo giunti alla finale del torneo di bocce del centro anziani, l'hipe è altissimo!
- Ho dipinto un opera che strizza l'occhio alle tecniche pittoriche del periodo paleolitico.
- Chi mi conosce lo sa che io non bevo mai il vino dai bicchieri di plastica.
- Ci ho provato sia con Luciana che con Paola, ma per ora me l'ha data solo una delle due, bene ma non benissimo!).
Potrei continuare ma mi fermo perché mi stanno venendo i conati.
Scrollando la home si incontrano sempre dei post politici dove amici si premurano di spiegarci il loro indispensabile punto di vista sulla gestione del Bel Paese. Ovviamente questi proclami non avranno nessun effetto su coloro che li leggeranno; si fatica a far cambiare opinione a qualcuno con cui si parla a quattrocchi, figuriamoci se si riesce a farlo dal web. Naturalmente sotto questi post nella sezione commenti non possono mancare le polemiche sterili. Alla fine ognuno manterrà la propria idea eh, ma la polemica, quella non deve mancare proprio mai!
Quando leggo i commenti, mi succede spesso di sentirmi estremamente ignorante e poco informato sulle cose. Le persone parlano di temi, anche complicati, con una tale sicurezza e con tale preparazione che mi piacerebbe quasi poterle incontrare dal vivo e parlarci per ore, farmi istruire su qualsiasi cosa e potere essere un giorno anch'io un grande esperto su tutto.
Poi però mi viene in mente che al giorno d'oggi è facile sapere tutto. Hai la risposta sempre in tasca e non puoi proprio fare a meno di usarla. È una cosa buona, una cosa che ormai utilizziamo tutti, quindi smetti di fare il figo facendo credere di essere l'esperto finale di qualunque argomento (sì, parlo proprio con te!).
Finisco l'elenco di ciò che trovo irritante nella home di Facebook con l'oceano di link (a volte anche interessanti, perchè no?) che portano a notizie che, come è stato recentemente dimostrato, non legge nessuno. Spesso la gente si limita a leggere il titolo, da quello poi svilupperà un'idea più o meno a fuoco sull'argomento e a questo punto, comincerà a sparare commenti spesso senza senso o fuori tema.
Il Science Post, una rivista online americana, ha creato un articolo vuoto contenente solo il "lorem ipsus" (il testo che mostra tutti i tipi di carattere grafico che si possono utilizzare in un documento) mettendo però un titolo accattivante e provocatore.
Risultato: quasi 50 mila condivisioni.
Circa il 70% di quelli che condividono articoli on-line, legge solo il titolo.