lunedì 17 dicembre 2018

Forte e In Mezzo di Matteo Pedrini


Non mi piace l'edizione, non mi piace la copertina, non mi piace il layout, non mi piace la foto in quarta di copertina; trovo la storia non scritta benissimo, con molti luoghi comuni e con un lessico gergale che rende il racconto una stucchevole imitazione dei molti romanzi in cui la provincia la fa da padrona, da Stefano Benni in giù. 

"Forte e in mezzo" di Matteo Pedrini, vorrebbe essere un romanzo di formazione, ma diventa principalmente un racconto composto da storie di paese dove la vita piatta e ripetitiva della provincia, viene scossa da un evento o da una storia succosa. 


I personaggi secondari sono senza spessore, stereotipi già visti, macchiette che non raccontano nulla di nuovo.

La crescita del protagonista è fortemente legata alla figura della nonna. Una donna forte, la classica toscana tutta d'un pezzo (altro stereotipo) che, vista la totale inettitudine dei genitori, prende il nipote per mano e con grande forza e determinazione prova a cambiare il corso di un destino che sembrava aver imboccato la stessa strada dissestata dei genitori.

La nonna, contro il parere dei genitori e dell'insegnate di educazione fisica, decide di iscrivere il nipote alla scuola calcio del paese; è quello il momento decisivo per Gianluca, il momento in cui inizia a crescere e che lo porterà a diventare, da ragazzetto timido e introverso, a uomo maturo e affidabile.

Fino a metà racconto devo purtroppo dire che è tutto molto banale e provinciale. Ho avuto continuamente la sensazione di leggere qualcosa di non definitivo, qualcosa a cui bisognava ancora lavorare per provare a dare più sostanza, più peso a tutto quanto.

Al capitolo 10 però, succede qualcosa. Non alla storia, ma alla scrittura, allo stile; qualcosa sembra cambiare e il racconto si fa più vero, meno artefatto, più onesto. 
La scrittura sembra più sciolta, senza quel bisogno di sorprendere il lettore che era più che evidente nella prima parte. 
La lettura diventa piacevole e, magicamente, anche la storia sembra prendere vita, gira meglio e ci  trascina finalmente nell'io del protagonista, trasformando quello che sembrava solo un personaggio bidimensionale trito e ritrito, in una persona tridimensionale, con sentimenti veri e reali.

Peccato per quell'inizio traballante. 

In fin dei conti, questa è una storia sul calcio, ma è anche la storia di una promessa mantenuta, di persone comuni che si prendono un piccolo riscatto nei confronti della vita e di tutti quei fallimenti che l'hanno caratterizzata.
È la storia di un piccolo paese, in una piccola città, popolata da persone che hanno sogni piccoli e il più delle volte nemmeno realizzati.
È la storia di una rivoluzione che scoppia nella vita del protagonista creando un nuovo punto di partenza, da dove poter ricominciare, dove poter finalmente vivere come si è sempre sognato e come non si è mai osato, e questa ripartenza è concessa a tutti; qualcuno riuscirà a seguire il suo sogno, qualcun altro non ne avrà il coraggio, ma ad ognuno di loro rimarrà la consapevolezza di aver realizzato qualcosa di straordinario che rimarrà impresso nella memoria del paese e nella propria leggenda personale.

martedì 11 dicembre 2018

Appesi

Siamo appesi ad un filo, un filo incredibilmente sottile. 
Basta poco, basta un niente per spezzarlo.

All'improvviso le persone se ne vanno: 
senza salutare, senza un ultimo abbraccio. 

Loro non lo sanno, noi non lo sappiamo, nessuno lo sa, eppure se ne vanno.

Se ne vanno lasciando incompiuto ciò che pensavano di finire più avanti. 
"Lo faccio dopo".
"Finisco domani". 
"Ma sì, tanto c'è tempo! Che fretta c'è?".

E all'improvviso, senza nessun segnale, tutto finisce. 

Può succedere in qualsiasi momento: 
Può succedere in macchina, 
Può succedere al lavoro, 
Può succedere mentre dormi. 
Succede, e tu non puoi farci niente.

Un ragazzo giovane se n'è andato. 
Nel sonno. 
Così.

È tutto oggi che ci penso e nemmeno lo conoscevo. 
Ci penso perché è terribilmente ingiusto, è inconcepibile, è crudele. 

Ogni morte lo è, ma un giovane che va a letto nel pomeriggio per ricaricarsi e non si risveglia è qualcosa di terrificante. È fastidioso. Urticante. 

Ieri è successo ad un ragazzo di vent'anni. 
Circa un anno fa è successo ad un calciatore, 
uno sportivo super controllato; 

"Sono cose che capitano", dice la gente; 
Ed è per questo che fa così paura. 

È per questo che non riesco a pensare ad altro: 
Per quella madre o quel padre che all'ora di cena non hanno visto scendere il proprio figlio,
nonostante i ripetuti richiami.
Per loro, che sono andati in camera, magari anche un po' scocciati.
Hanno acceso la luce e il loro bambino era lì, addormentato; 
Lo hanno scosso leggermente, 
Poi un po' più forte, 
Poi insistentemente 
Poi con il cuore in gola lo hanno girato di forza
e lui si è girato, ma gli occhi non si sono aperti. 
Le mani sul viso a scuoterlo,
Gli schiaffi nel tentativo di rianimarlo,
L'orecchio sul petto,
Nessun rumore.
Niente cuore. 
Il nome urlato insistentemente.
Le mani sulle spalle: 
Scuotere, chiamare, urlare, 
Scuotere, urlare, chiamare, 
Schiaffeggiare, chiamare, urlare, 
Piangere, chiamare, scuotere,
Piangere, urlare, piangere,
Piangere, piangere,
piangere.
La consapevolezza. 
Le lacrime,
La disperazione,
L'abbraccio:
L'ultimo.

Non ci voglio nemmeno pensare. 
Non voglio, ma non riesco a fare altro.

La vita è un dono 
e noi spesso la sprechiamo. 
La vita è un dono 
e noi non ce lo ricordiamo mai.

Ci pensiamo sempre quando è troppo tardi, 
quando saperlo non serve più.