All'inizio scrivevo di notte, immerso nel silenzio. Annotavo ciò che a voce non riuscivo ad esprimere. Fissavo sul foglio idee, concetti, speranze e qualche volta inventavo storie; più lo facevo, più sentivo il bisogno di doverlo fare. Finii per amare quel rituale, a pensarlo sacro, un momento solo mio. Invidiavo chi lo faceva bene e ancora di più chi era riuscito a farne un mestiere. Li invidio tutt'ora. Vorrei essere come loro, ma non sono mai riuscito a fare quel salto di qualità che porta uno scrittore occasionale a diventare un artigiano della parola.
Ho provato ad inventare nuovi mondi, nuove vite, nuovi drammi e nuove storie. Ho creduto di poter giocare a fare dio, ma ho fallito.
Devo seppellire le mie velleità?
Devo smorzare la mia immaginazione?
Devo uccidere le mie speranze?
Devo abbandonare la gloria e la vita da scrittore ancora prima di averla vista nascere?
Se ho sbagliato a provare, chiedo scusa.
Chiedo perdono per aver tentato di essere chi non sono, per essermi nutrito di una farsa e per aver provato ad emergere dalla mia inutilità. Scusate, se ho osato credere di poter emulare le gesta di artisti stimati, se ho pensato di esserne in grado di farlo e se vi ho messo in imbarazzo.
Torno a sedermi composto nel mio angolino, al buio.
COL CAZZO!!
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