lunedì 18 maggio 2020

Creativity Low

Non so veramente cosa scrivere né dove andare a parare. Ho un buco creativo e anche se negli anni ho accantonato centinaia di idee e spunti di scrittura, ora sono bloccato. Nel senso che non ne ho voglia. Imputo tutto questo a diversi fattori, ma quello che domina su tutti gli altri è di non poter disporre delle mie ore libere come vorrei. 

C'è stato un tempo che ormai sembra un'eternità fa, in cui disponevo di abbondanti giornate libere e di parecchie ore da dedicare alle mie passioni, ma con questa situazione di quarantena in cui tutti sono a casa (e sono sempre tutti in casa), non ho un minuto libero per me. Non ho un minuto libero per fantasticare, per pensare, per amare, per vivere (come direbbe Marzullo), perché ad ogni piè sospinto c'è qualcuno che mi chiama e che ha bisogno del mio intervento, ed io devo continuamente interrompere ciò che sto facendo. Non c'è letteralmente un minuto libero durante il giorno.

Poi tutti vanno a letto, ed io, che sono un conclamato nottambulo, inizio la mia vera giornata ma, pensate un po'? Non combino nulla. Non ho energie per far niente. Non mi riesco a calare in quello stato mentale adatto per poter anche solo pensare di poter creare qualcosa. 

Questa quarantena mi sta facendo perdere la creatività. No, non è vero. Mi sta facendo perdere la voglia di creare qualcosa. 

Abbiamo visto tutti come la tv e le chat di what'sapp in questi giorni pullulino di video in cui le persone si sbizzarriscono in idee creative e divertenti nel loro piccolo riescono ad allontanare anche solo per un momento la noia di queste giornate ripetitive e sempre uguali a loro stesse; a me sta succedendo esattamente il contrario. Io mi sono affossato, impantanato, bloccato, perduto, smarrito, inchiodato. 


Non credo che tutta questa storia del CoronaVirus finirà tanto presto. 

Sono talmente in affanno che non riesco neanche a pensare. 

Spero di tornare a scrivere più lucidamente. 

Scusate lo sfogo.

giovedì 7 maggio 2020

Solo

La solitudine è uno stato d'animo che provo raramente. Amo star solo. Ma la solitudine che provo in questo periodo non è quella di chi vive isolato dal mondo, ma al contrario, è quella di chi si ritrova circondato da persone talmente diverse da lui da sembrare estranee e quindi lontane anni luce per arrivare a capire l'essenza della persona. Mi sento solo in questo senso. "... solo veramente, in mezzo a tanta gente."

Nessuno mi conosce sul serio. È colpa mia? Non mi sono fatto conoscere io? 
Possibile che non ci sia nessuno al mondo che abbia capito come sono dentro? Non esiste nessuno al mondo che abbia, più o meno, le mie idee, i miei gusti e le mie opinioni? Com'è possibile che quando parlo o dico qualcosa, il 90% delle volte, la gente non capisce il mio punto di vista? È così per tutti o succede solo per me?

Le persone sembrano bastare a loro stesse fintanto che riescono a cavarsela da sole; io subentro nelle loro vite in un momento preciso: quando hanno un problema e pensano che solo io possa risolverlo gratis.

Mi è capitato spesso. Persone con le quali credevo di avere un rapporto di amicizia che, ogni volta, chiamavano non per un mero interesse nei miei confronti, ma al contrario solo per un loro bisogno particolare o tornaconto personale. 
Può succedere che un amico in difficoltà chiami per un aiuto, figuriamoci, ma poi ti cerca anche per sentire semplicemente come stai o anche solo per fare due chiacchiere. Le chiamate di quest'ultimo tipo non mi arrivano quasi più. Fa davvero male a pensarci.

Quando mi sono reso conto di queste telefonate "da pronto intervento", senza nessun riguardo nei miei confronti, ho sofferto. Sembra una cosa egocentrica, ma vi assicuro che non lo è. Per natura tendo a lamentarmi pochissimo e anzi a cedere il posto o la strada agli altri, anche se sconosciuti. Io son quello che al supermercato vi fa passare davanti quando arrivate alla cassa con tre cose nel carrello e non vi chiederebbe mai di passare davanti a parti invertite. Ma non divaghiamo. 
Il culmine di questa consapevolezza (quella di non ricoprire un ruolo importante nella vita delle persone che reputo più vicine) si è toccato quando un "amico", ha organizzato una gita fuori porta con amici comuni, senza nemmeno pensare di avvisarmi. Non mi hanno considerato. Una settimana dopo al mio "amicone", quello che aveva organizzato la gita, gli si è bloccato il pc e indovinate un po' chi ha chiamato per sistemarlo? Bravissimi! Ottimo intuito.

È a quel punto ho realizzato di essere la pezza da culo di molte persone. Ho capito di non essere altro che un mero strumento. La cosa mi ha davvero abbattuto, allora ho iniziato a dire qualche no. Non molti in realtà, perché non sono uno che si tira indietro e se può aiutare lo fa volentieri e senza un proprio tornaconto. 
Lo volete sapere il risultato di quei "no"? Le persone che mi chiamavano solo per un loro interesse non mi hanno più chiamato, dimostrando di fatto che la mia percezione di essere sfruttato era sensata e reale. Questo mi ha fatto sentire ancora più solo di quanto già non mi sentissi.

Facciamo un altro esempio poi la smetto, giuro.

Gli amici veri, quelli che io definisco fratelli, li conto sulle dita di una mano, ma non tutte le dita, solo tre. Non è un brutto numero. Di queste tre persone sapete in quanti mi hanno telefonato per chiedermi come procedeva la vita in quarantena? Una sola. Agli altri ho telefonato io. Poi mi sono fatto risentire con quello che mi ha chiamato per primo e poi lui ha chiamato ancora me. E gli altri? Sapete quante volte mi hanno richiamato? Zero.

Quindi? Cosa deduciamo? Quale insegnamento traiamo da questa disamina dei fatti?
Essendo pessimisti diremmo che su tre amici fraterni solo uno si è ricordato di me. Provando a vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo azzardare di dire che almeno uno si è interessato. 
Meglio che niente no? No... questa piccola delusione è solo l'ultima di una serie di delusioni che ormai si inanellano una dopo l'altra e che non fanno altro che assottigliare e comprimere la mia già ridottissima autostima.

Mi sento solo, non perché non ci sia nessuno intorno a me, ma perché quelli che mi circondano, in realtà, non sanno chi sono veramente e forse nemmeno lo vogliono sapere. Non gli interesso.

Come scrive la bravissima Andrea Marcolongo nel suo libro sugli etimi "Alla Fonte delle Parole" quando tratta della parola dolore:

"Siamo esseri umani che provano dolore (...) abbiamo bisogno di cura, di rispetto, di amore. E di dirlo quando soffriamo, a qualcuno che ci ascolti senza giudizio, senza armi nelle mani, solo carezze."

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci sorregga quando stiamo per cedere. Ma cosa succede se nel momento in cui siamo più fragili, non vediamo nessuna faccia amica ma solo persone che ci danno le spalle?