venerdì 30 agosto 2019

La scala delle priorità


Non capisco come io possa anche solo poter sognare di scrivere se non mi viene in mente nulla da dire. Non ho alcun pensiero? Non ho più Idee? Ma se solo due mesi fa trabordavo di idee! E ora? Niente! Dove sono finite? Dov'è quel fuoco che bruciava dentro e non smetteva mai di ardere fino a quando la scrittura non lo placava? Dov'è?


È tutto fermo. Tutto bloccato.


E a fermare il processo creativo che nella mia mente era costantemente sollecitato da un lavoro giornaliero basato sulla parola scritta, è stato qualcosa che era nei miei programmi da anni ma che avevo costantemente rimandato: cambiare casa, ovvero, traslocare.


Io e mia moglie abbiamo deciso di traslocare in una casa più grande, quando abbiamo scoperto che la nostra famigliola si stava per allargare di nuovo. L'idea dell'arrivo di una seconda figlia ci ha dato la spinta e il coraggio necessari ad affrontare quel periodo delirante dove cerchi di trasferire tutta la tua vita e ciò che le ruota attorno da un punto del pianeta ad un altro.

Per questo motivo ho scritto poco.
Per questo motivo ho perso le idee.
Per il trasloco.

Ho ritenuto prioritario completare tutti i lavori che giorno dopo giorno si susseguivano e mi travolgevano senza sosta. Arrivavo a casa distrutto. E in tutto questo non c'era proprio nessuno che mi facesse fretta; avrei potuto tranquillamente continuare la mia routine e ogni tanto andare nella casa nuova a fare qualche lavoretto. Sarei arrivato esattamente allo stesso risultato a cui sono oggi, solo con molta più calma e molto meno stress; poi però ci saremmo trasferiti tra sei, forse dieci mesi, e questo per come sono fatto io, non era fattibile. Spesso non mi prendevo nemmeno il tempo di mangiare tanto avrei voluto sbrigare tutto il più in fretta possibile. E lo sapete qual'era il motivo di tutta quella fretta? Lo sapete perché ho sacrificato due mesi interi di scrittura per favorire lavori sfiancanti che non mi lasciavano un briciolo di energia?

Perché pensavo che se avessi finito di fare quello che era necessario e doveroso fare prima, sarei tornato prima a fare quello che amo e che voglio fare. Cioè questo: Scrivere.
E poco importa che non stia scrivendo una storia, non importa se questo non è un articolo, non importa che faccia schifo o che sia bello, non importa nemmeno che lo stia scrivendo al lavoro, sulle note del cellulare, seduto su un marciapiede, durante la pausa caffè. Non importa niente. Ho la libertà mentale per poter scrivere, e questo è bellissimo! La sensazione di vedere le parole che si incastrano una dietro l'altra in un flusso inarrestabile di pensieri è qualcosa che mi riconcilia con il mondo. Ho iniziato dicendo che non sapevo cosa scrivere e ora non riesco a fermare i pensieri che vorticano dal cervello alle dita.

Credo seriamente che la scrittura sia una droga.
Chi scrive tutti i giorni, per se stesso o per gli altri, sa di cosa sto parlando.

Da questi due mesi di lavori forzati in assenza di scrittura e in costante mancanza di tempo ho capito due cose:
la prima, è che se smetti di scrivere per un lungo periodo, la voglia di farlo non passa mai veramente, è sempre lì con te che accompagna le tue giornate; 
la seconda è che per quanto la scrittura possa essere una parte molto importante di me, le persone che mi sono accanto occupano uno spazio di gran lunga maggiore, e ne occupano talmente tanto da renderla quasi insignificante.

Credo che la scala delle priprità abbia parlato, e abbia sancito insindacabilmente che io, e i miei desideri, siamo sacrificabili di fronte a loro; e credo proprio che abbia ragione.

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