venerdì 5 aprile 2019

TAMERLANO di EDGAR ALLAN POE

È notte fonda: il momento migliore per leggere una poesia di Edgar Allan Poe, anche se questo componimento ha poco a che fare con l'orrore. Questa è una poesia che parla di AmoreAmbizione, scritta da un ragazzo di quindici anni con una sensibilità così sviluppata da riuscire a comprendere, in giovane età, la tragicità della vita. Il giovane Poe ha capito presto come gira il mondo, ma questo non è bastato a salvarlo dall'ineluttabilità del suo tragico destino. Un destino ricco di inquietanti ombre, proprio come buona parte della sua opera. 


Signore e Signori, ecco a voi "Tamerlano" di Edgar Allan PoeBuona Poesia!



Dolce sollievo nell'ora in cui si muore!
Ma non di questo, padre, ora tratterò con te -
né riterrò, stoltamente, che da un potere
terrestre possa mai lavarsi il peccato
cui l'indusse un orgoglio che va oltre l'umano. -
Non ho io tempo per sogni o per fole:
e tu parli di speranza - quel fuoco d'ogni fuoco!
Non è che tormentosa brama:
e se sperare m'è dato - m'è dato, o Dio! -
da più sacra fonte mi proviene, più divina.
Non vorrei chiamarti stolto, vecchio:
ma questo non è dono che derivi da te.

Tu apprendi il segreto d'uno spirito
atterrato dal suo stesso immane orgoglio.
O cuore avido! - da te io ereditai anche,
con la fama, la tua parte più peritura,
quel che appassisce e muore, divorante
vampa fra le gemme del mio trono,
alone d'Inferno! E con tale strazio, insieme,
che dall'lnfernó stesso di più non avrò a temerne.
O cuore che ti struggi ora per i perduti fiori,
per il fulgore di quelle mie ore d'estate!
L'immortale voce di quel morto tempo,
col suo incessante, tinnulo scampanio
ancora per me risuona, soffio d'un incanto,
nel vuoto e nel deserto! Ma è ora un rintocco.

Non sempre fui quel che sono:
il febbrile diadema sulla mia fronte
io lo pretesi un tempo e l'usurpai -
e non fu forse lo stesso fiero retaggio
che diede Roma a un Cesare? Questo valse per me.
Il retaggio di una tempra regale
e d'uno spirito indomito, altèro, che lotta -
trionfandone infine - contro il genere umano.

La mia prima vita fu tra gli aspri monti:
le nebbie del Taglay cosparsero
il mio capo di notturne rugiade,
e l'alata contesa, com'io credo,
e il tumulto e l'assalto dei venti
tra le mie chiome ebbero il nido.

Tardi - quella rugiada - calò dal cielo
(fra sogni di una notte dissacrata!)
su di me col tocco dell'Inferno,
mentre il rosso baleno della luce,
dalle nuvole svettanti come stendardi,
rivelava al mio occhio socchiuso
la magnificenza del regale potere;
e come una tromba l'alto rombo del tuono
a me si volgeva con furia, contandomi
d'umane battaglie e d'eserciti, dove
la mia voce, la mia voce sovrastava
(oh, come si beava il mio cuore di fanciullo
insensato, ed in me balzava esultante
della vittoria al grido e al clamore!).

La pioggia batteva sul mio capo
indifeso - e l'impetuoso vento
mi rendeva folle e sordo e cieco.
Solo uomini, pensavo, quelli che gli allori
spargevano su di me: e la foga,
il torrente della gelida aria
gorgogliava al mio orecchio scrosci e urti
d'imperi - con lamenti di prigionieri -
ronzio di supplicanti - e lusinghe
di cortigiani intorno ad un trono.

Le mie passioni da quell'infausta ora
su di me usurparono una tirannia che molti
poi attribuirono alla mia innata natura,
poi che strinsi il potere! E sia pur così!
Ma, o padre, là viveva una fanciulla che allora - 

allora - nella prima età - quando il loro
fuoco bruciava con più intensa fiamma
(giacche con giovinezza anche la passione muore),
già sapeva che questo ferreo cuore era partecipe
del fragale incanto di una donna.

Oh, non ho parole per dirti
della fascinosa bellezza di un amore!
Né ora vorrei neanche tentar di tracciare
la superioriore beltà d'un volto
i cui lineamenti, nella mia mente,
son come le ombre sul vento mutevole:
a quel modo stesso ricordo che indugiai,
talvolta, su pagine d'antica sapienza,
con occhio stregato, finché le lettere -
e i significati - si riconfondevano
in fantasie prive d'ogni senso.

Oh, lei era ben degna di un amore!
Un amore - come il mio di fanciullo -
che tale era che gli angeli del cielo
destava invidia;e il suo giovane cuore un'ara
era per me, e incenso ogni mia speranza,
ogni pensiero - innocenti doni, allora -
giacché s'offrivano schietti e fanciulleschi -
e puri - come il suo stesso esempio m'indicava:
oh, perché li abbandonai, perché, disviandomi,
m'afidai, invece, al fuoco che m'ardeva dentro?

Insieme crescemmo negli anni - nell'amore,
vagando per i boschi e per i luoghi più selvatici;
il mio petto fu per lei scudo in avversa stagione;
e quando ci sorrideva e rifulgeva il sole
ed ella osservava i cieli illimitati,
altro cielo io non vedevo che nei suoi occhi.

Primo maestro d'Amore è il cuore;
e allorché a fra quei soli e sorrisi,
immemori noi d'ogni altra cura,
io ridendo alle sue malizie di fanciulla
m'accostavo al suo petto in tumulto
e il mio ardore riversavo in pianto,
non altro avevo io a dire e ad aggiungere -
nessun timore avevo da quietare in lei -
in lei che mai ragioni non chiedeva,
ma solo volgeva a me il suo occhio tranquillo!

Più che degna dell'amore col quale
il mio spirito lottava e si struggeva -
allorquando, vagando io solo sulla vetta,
l'Ambizione gli dava altra tempra,
più dura - io non avevo vita che nella tua:
l'intero mondo e tutto quanto è in esso
in terra - nell'aria - nel mare -
ogni allegrezza - quel suo tanto di pena
che era poi un nuovo piacere - e le parvenze
labili e immaginarie dei notturni sogni,
e le ancor più vaghe, fosche parvenze che invece
erano reali (ombrie: e la luce stessa un'ombra!),
tutte fuggivano sulle loro ali di nebbia,
e confusamente, in tal modo, divenivano la tua
immagine stessa e un nome - un solo nome!
Due separate sostanze insieme congiunte.

lo ero ambizioso. Hai tu conosciuto
la passione, padre? Tu non l'hai conosciuta.
Pastore, sognavo di regnar su una metà almeno
del mondo, non tolleravo quel mio basso
destino. - Ma come già ogni altro sogno,
nei rugiadosi vapori del mattino anche il mio
sarebbe svanito, se di bellezza il raggio,
che di continuo l'abitava - in ogni attimo -
in ogni ora e giorno - non avesse
in me la mente dominato con duplice incanto.

Insieme, si giungeva alla corona d'un alto
monte, che dalle sue orgogliose torri
di roccia e d'alberi in giù guardava
ai più umili colli - agli umili colli
più in basso, ai loro ombrosi recessi,
risonanti, da ogni parte, di mille torrenti.

Parlavo a lei di potere e d'orgoglio,
ma misticamente - e in un tale modo
ch'ella stimasse poco o nulla tutto questo
al confronto con quel nostro incontrarci,
con quel nostro presente: leggevo nei suoi occhi,
illudendomi forse, un sentire consono al mio. -
Il bel colore alle sue fulgide guance
troppo mi pareva degno d'una regina
perché lasciassi che così solitario
risplendesse in quel deserto.

M'avvolgevo fra grandi, maestosi pensieri,
mi calavo sul capo un'immaginaria corona;
ma non che fossi all'illusione in preda,
che Fantasia m'avesse gettato il suo manto.
Accade, in una moltitudine d'uomini,
che Ambizione è un leone in catene
e serve, obbediente, alla mano che lo regge. -
Ma non così avviene in quei più deserti luoghi,
dove grandiosità di natura - selvatichezza -
e orrore tutti insieme cospirano
a soffiar sul suo fuoco ruggente.

Guarda a te d'intorno ora in Samarcanda! -
Non è regina del mondo? Non è la prima
fra tutte le città? Non ne regge i destini
con la sua ferma mano? In tutta l'immensa gloria
Che il mondo conobbe non sta nobile e sola?
Se mai cadesse, il suo estremo gradino
già offrirebbe il piedistallo ad un trono! -
E chi n'è il sovrano? Timur - colui
che la gente attonita vide procedere
A gran passi, altèro sopra agli imperi,
un bandito col diadema sulla fronte!

O umano amore! Tu che già possiedi
in terra quel che speriamo di trovar nel cielo!
Tu che cali sull'anima come la pioggia
sul piano che lo scirocco ha disseccato:
e se venisse meno il tuo benefico potere,
il cuore lasceresti più arido d'un deserto!
Sei tu, o idea, che aduni insieme la vita
con una musica di così strana armonia,
con la tua bellezza d'ascosa origine!
Addio ora ho conquistato la terra.

Quando la Speme, come aquila torreggiante,
non più vide altre rupi nel cielo, oltre a sé,
le ali ripiegò volando più in basso
e volse l'occhio addolcito al suo nido.
Era il tramonto; e quando il sole è svanito,
un'imbronciata tristezza discende su colui
che ancora col suo occhio ricerca
la piena gloria del sole d'estate.
Colui odierà, certo, le incerte nebbie
della sera, pur così amabili, e ascolterà
il suono della tenebra che sopravviene
(noto a quelli che sanno avvertirlo)
come uno che in un greve sogno, a notte,
fuggir vorrebbe a un imminente danno, e non può.

A che vale se la luna - la bianca luna
diffonde la pienezza del suo meriggio?
Il suo sorriso è gelido - e il suo raggio
In quel desolato tempo m'apparirà
(così simile a quello che già può cogliersi in vita)
come un ritratto eseguito dopo morte.
Oh, la fanciullezza è un sole d'estate
che, dileguando, per sempre ci lascia inconsolati,
ché non più ci alletta alcuna cosa nuova,
e quel che vorremmo è intanto già volato via. -
E allora cada la vita stessa, come cade
il fiore nella luce del meriggio - che è tutto.

Ricercai il mio nido - ma non più tale per me,
poiché tutto era svanito quel che lo rendeva tale.
Passai innanzi alla porta muscosa,
e benché soffice fosse e lieve il mio passo,
una voce s'alzò dalla soglia di pietra,
una voce da me già udita altra volta. -
Oh, io ti sfido, o Inferno, a mostrarmi
sui tuoi letti di fuoco laggiù nell'abisso
un più umile cuore, una più dura pena.

Padre, cred'io fermamente, - io so -
giacché Morte che per me ora arriva
dalle regioni lontane dei beati
(dove l'inganno più non esiste)
lasciò socchiusa un poco la sua ferrea porta
e i raggi del vero che a voi restano ignoti
di lì lampeggiano in un'aria d'eterno -
io fermamente credo che da Eblis fu nascosta
una serpe su ogni umano sentiero:
in qual modo, altrimenti, allorché io erravo,
per il sacro bosco d'Amore andavo errando -
d'Amore che giorno dopo giorno profuma
le sue ali di neve con l'incenso delle offerte
che s'alza da quanto è più puro e incontaminato
e nei cui ameni recessi così s'addentrano
gl'intricati e fitti raggi celesti
che né fuscello né minuscolo insetto
può sfuggire al lampo di falco del suo occhio -
come dunque avvenne che Ambizione s'insinuò,
non veduta, nell'esultanza d'allora,
finché, fatta ardita, balzò ridendo
tra i riccioli stessi della chioma d'Amore?










Traduzione a cura di Tommaso Pisani 

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